Stefano Stramigioli«Robotics is hot»


L’umanesimo tecnologico è una contraddizione?

 

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«La sfida della robotica è la totale interazione con l’umano»

Forse, per comprendere il rapporto tra la tecnologia e le trasformazioni sociali la parola chiave non è progresso, ma evoluzione. Gli esseri umani si sono sottratti alle regole dell’evoluzione naturale grazie alla civilizzazione. E se invece l’evoluzione umana avesse come specifica leva di evoluzione proprio la tecnica? Se fosse così, cambierebbe il nostro modo di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, la cosiddetta “umanità” sarebbe solo un concetto probabilistico e gli scenari futuri, che prefigurano la convergenza tra mondo organico e mondo sintetico, sarebbero solo una possibilità da accettare come “naturale”. In questa prospettiva, gli operai della Fiat al pari dei contadini della Pianura Padana sarebbero solo una “specie” in via di estinzione e, quindi, né più né meno che un fatto evolutivo.

I primi robot (dal ceco robota, che significa “lavoro forzato”) furono progettati come amplificatori della forza lavoro dell’uomo nell’industria pesante. Forse, non sbaglia chi vede nell’industria automobilistica moderna la fabbrica di robot di domani. Del resto, in Italia, i primi robot industriali furono installati – proprio – nello stabilimento Fiat di Torino, anzi, il robot Sigma per operazioni di assemblaggio fu messo a punto in Olivetti, nel 1975.

Oggi, grazie alle attuali tecnologie informatiche e cibernetiche, le nuove conoscenze della biomeccanica e dell’animazione virtuale, delle neuroscienze, la robotica è entrata in una nuova era la cui sfida è traghettare il settore da una generazione di macchine in grado di relazionarsi solo con oggetti, a una generazione di sistemi evoluti in grado di relazionarsi con le persone. Nella stessa Torino del Lingotto, a inizio 2011, è stato inaugurato il “Center for space human robotics” dell’Istituto italiano di tecnologia con l’obiettivo di realizzare il robot umanoide capace di precedere l’uomo nelle missioni spaziali su Marte. Non è chiaro quindi se vedremo prima il robot-operaio o il robot-esploratore. Al momento abbiamo fatto la conoscenza del robot Spirit, dei replicanti tutto fare del World Expo di Aichi, della hostess umanoide “Actroid” del professor Hiroshi Hishiguro dell’Università di Osaka, e anche di “Aiko”, la donna robot ispirata a C3PO di Guerre Stellari.

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Abbiamo guardato con interesse la missione dei quattro veicoli elettrici (Piaggio Porter) senza conducente, del progetto di VisLab (spin-off dell’Università di Parma), che da Milano hanno raggiunto l’Expo di Shanghai, ma non abbiamo capito perché i finanziamenti al progetto sono arrivati perfino dalla Corea del Sud, ma non dall’Italia (www.youtube.com/watch?v=p_RfxPaGfl4).

Stando ai dati, la popolazione di robot funzionanti nel mondo ha superato la cifra di 5 milioni di unità: più del 20% sono al servizio dell’industria, il rimanente a uso militare e privato.

Presto i robot saranno pervasivi e personali come i computer e forse potremo comandarli, scaricando un’applicazione dal nostro iPhone. Questa è una buona o una cattiva notizia?

Abbiamo girato la domanda a Stefano Stramigioli (www.ce.utwente.nl/smi), professore di Robotica Avanzata all’Università di Twente. Originario di Bologna, classe 1968, premiato nel 2009 con il IEEE-RAS Distinguished Service Award, per i suoi contributi per le attività tecniche sui sistemi di trasporto intelligente e la sua leadership nella gestione della IEEE Robotics and Automation Magazine. Per Stramigioli, «la sfida della robotica è la totale interazione con l’umano».

 

Data Manager: Nel 2007, in un celebre articolo della rivista Scientific American, Bill Gates scriveva che “the next hot field will be robotics”. Aveva ragione?

Stefano Stramigioli: Le applicazioni robotiche stanno crescendo. Molte tecnologie robotiche sono a portata di mano. I sistemi di controllo sia hardware che software hanno costi sempre più bassi, manipolatori e attuatori sono sempre più efficienti dal punto di vista energetico.

Negli anni 70 abbiamo assistito alla diffusione della televisione analogica. Dal 1980 al 1990 abbiamo registrato la prima ondata digitale con i Pc. Dal 1990 al 2000 abbiamo avuto la seconda ondata tecnologica che ha coinciso con il digital consumer network e l’inizio dell’era della robotica, la cui curva toccherà lo stesso picco della rivoluzione Web 2.0 nel 2030. Secondo la Japan Robotics Association, nei prossimi 25 anni il mercato dei personal and service robots raggiungerà i 66,4 miliardi di dollari, con uno spostamento dai settori manufacturing e bio-industriali a quello pubblico, medical welfare e domestico. A gennaio, la Commissione Europea ha annunciato l’impegno di rafforzare i finanziamenti per la robotica e la UE ha raddoppiato i suoi investimenti tra 2007 e 2010 con quasi 400 milioni di euro. In Olanda è nato RoboNed, la piattaforma di ricerca per creare cluster settoriali e trasferimento tecnologico.

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La robotica industriale sembra avere perso il suo fascino. C’è, invece, molto interesse sulle novità che arrivano dalle applicazioni in campo medicale. Perché?

Forse perché l’opinione pubblica, da un lato, percepisce i robot industriali come una minaccia all’occupazione, mentre, dall’altro lato, accarezza l’idea del robot umanoide come una fantasia per adulti. Bisogna occuparsi di questi argomenti, sgombrando il campo dai luoghi comuni. La robotica offre soluzioni a molti problemi della società moderna e offre opportunità per migliorare la vita dell’uomo, a cominciare dalla salute, soprattutto in ambito chirurgico e riabilitativo dove robot, come il sistema da Vinci, rappresentano l’attuale punto di arrivo dell’interazione uomo-macchina. Nel futuro prossimo, gli ostacoli che la robotica dovrà affrontare non saranno più di carattere economico o tecnologico, ma saranno sempre più di tipo culturale e gestionale.

L’umanesimo tecnologico è una contraddizione?

Un approccio corretto alla robotica non può prescindere da un criterio multidisciplinare e di dialogo tra i saperi. Mi viene anche in mente il saggio di Eric Fromm su uomini e macchine, che per certi versi è di grande attualità. Credo che la scelta dei fini da perseguire faccia sempre la differenza. Il denaro non è necessariamente l’incentivo per gli operai dell’industria, come non lo è per i ricercatori e gli scienziati. Il solo incentivo potente è il riconoscimento delle capacità personali. Inoltre la “minaccia” di disoccupazione di massa che la robotica avrebbe dovuto portare si è rivelata infondata.

Qual è la situazione della ricerca del settore in Europa?

In Europa, la ricerca robotica è di alto livello, ma non sempre ha l’attenzione dell’industria. In Olanda la ricerca è molto forte dal punto di vista del trasferimento tecnologico. Gli Olandesi sono business efficient. Basta pensare alla Asml che da piccola spin-off della Philips ha sorpassato Nikon e Canon ed è diventata leader mondiale di macchine litografiche per produzione di chip. Gli investimenti devono produrre risultati.

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La forza di un Paese è anche quella di attrarre intelligenze, non solo manodopera a basso costo?

I cervelli si spostano dove possono esprimersi meglio e dove sono valutati per quello che sono e non per il network che hanno. Non sono andato via dall’Italia per i soldi. Attualmente, nei Paesi Bassi la politica sull’immigrazione è un po’ tesa e non credo che si possa affrontare solo dal punto di vista dei rischi alla sicurezza. Bisogna cominciare a pensare che le persone che entrano in un Paese possono rappresentare un’opportunità e il successo di una nazione si basa sulla meritocrazia. Non investire sullo sviluppo e sulla ricerca di qualità non può che portare allo sfascio di un Paese. Molti Stati Europei dovrebbero fare molta attenzione a non sottovalutare questo rischio.

Chi la ispira nel suo lavoro?

Tutti quelli che ho la fortuna di incontrare che con entusiasmo e sete di conoscenza contribuiscono allo sviluppo dell‘ingegneria e della scienza. Troppo spesso la tecnologia viene considerata come un sapere “inferiore” rispetto a quello umanistico, ma ci sono sviluppi nell’ingegneria e nella scienza che sono la vera espressione della genialità umana, una vera arte tecnologica.