«Le imprese possono e devono investire maggiori risorse, ma è l’intero Paese che deve fare di più»
Gli ultimi dati diffusi dall’Ocse mettono in evidenza a livello europeo il rallentamento della crescita, l’aumento della disoccupazione di lungo termine, e un calo della fiducia. L’Italia si colloca “nella fascia bassa delle grandi economie”. Mentre l’economia italiana ristagna, crescono scandinavi e tedeschi, che da decenni investono quattro volte più di noi in ricerca e sviluppo. Il ritardo italiano nella ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico è un dato strutturale. Un ritardo che si registra anche nelle grandi aziende, non tutte. La ricerca pubblica non è sufficiente, ma opera meglio del privato. L’Italia investe percentualmente meno di Portogallo, Estonia, Slovenia, Cipro. Dati alla mano, esiste una relazione tra investimenti e crescita. Ma tutti gli investimenti servono alla crescita? Oppure, ciò che fa la differenza è la concentrazione e la costanza degli investimenti? Il dibattito sulla competitività del sistema economico italiano non è mai stato così caldo. Dal secondo dopoguerra in poi, l’Italia si è ritagliata un ruolo del tutto peculiare, in controtendenza rispetto ai grandi Paesi industriali (non solo Stati Uniti e Giappone, ma anche Germania, Francia e Inghilterra). L’Istituto per la Ricostruzione Industriale avrebbe dovuto fare molte cose, a cominciare dalla sperimentazione di un modello di partecipazione tra pubblico e privato, che avrebbe dovuto essere l’avanguardia e che, invece, si è rivelato inefficace, più per un problema di esecuzione, che di strategia.
Nel film “Il terzo uomo”, Harry Lime (Orson Welles) dice: «In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù».
Se con Galileo possiamo vantare il benchmark del metodo scientifico, come eredi, forse, non siamo stati all’altezza. Per Diana Bracco, presidente e amministratore delegato del Gruppo Bracco (ma anche vice presidente di Confindustria per Ricerca & Innovazione, vice presidente della Camera di Commercio di Milano e presidente di Expo 2015 Spa) «la ricerca pubblica italiana è fatta di luci e ombre» e «l’Italia deve fare di più per rilanciare la cultura scientifica».
Data Manager: In Italia c’è una difficoltà di dialogo tra sapere scientifico e sapere umanistico?
Diana Bracco: La scarsa diffusione della cultura scientifica è uno dei punti deboli del nostro Paese. L’Italia deve fare di più per rilanciare la cultura scientifica. Come Confindustria, ci siamo impegnati a fondo per colmare questo gap orientando le scelte dei giovani verso studi scientifici. Consiglio sempre ai giovani ricercatori di integrare i loro studi scientifici anche con approfondimenti di taglio economico, che permettano loro di districarsi tra budget e business plan e di poter dare presto un contributo all’azienda.
Qual è la situazione della ricerca e dell’innovazione in Italia?
Sappiamo che la ricerca pubblica italiana è fatta di luci e ombre. Accanto a centri di eccellenza ce ne sono tanti lontani da standard qualitativi e tali da competere nel mondo. Per questo bisogna intervenire secondo principi di efficienza, efficacia e valorizzazione delle competenze e dei meriti. Dobbiamo puntare sulle eccellenze, aggregando la massa critica necessaria per essere competitivi a livello europeo e internazionale. La ricerca ha un ruolo strategico perché produce crescita e benessere. Per questo il Paese deve riuscire a mettere in rete ricerca pubblica e imprese, come premessa per un duraturo rilancio economico.
Perché quando si parla di investimenti in R&D, si pensa che debba essere la parte Pubblica a “mettere mano” al portafoglio?
Certo, le imprese possono e devono investire maggiori risorse, ma è l’intero Paese che deve fare di più. Come vice presidente Confindustria con delega per la Ricerca e Innovazione, in questi anni, ho fatto un vero pressing sul Governo affinché basasse la sua politica economica sulla ricerca. La combinazione di strumenti di incentivazione fiscale a vantaggio degli investimenti in ricerca come il credito d’imposta con strumenti a selezione come i Bandi è utilizzata nella maggior parte dei Paesi. La Germania, per esempio, pur tagliando tutte le voci della spesa pubblica, non ha toccato, ma anzi aumentato, le risorse investite in ricerca, scuola e università. Per non parlare della Francia che con il credito d’imposta offre alle imprese agevolazioni vantaggiosissime.
Quanto investe il Gruppo Bracco in R&D?
Oggi, l’azienda investe in R&D oltre 70 milioni di euro all’anno, più del 10% del fatturato di riferimento nell’imaging diagnostico e nei dispositivi medicali avanzati, e può contare su un patrimonio di oltre 1.500 brevetti. Le attività di R&D sono concentrate nei centri di ricerca localizzati a Colleretto Giacosa (To), Ginevra e Princeton. Bracco Imaging ha inoltre siglato diversi accordi di collaborazione per la ricerca con prestigiose università, centri di ricerca di ospedali e società biotech in vari Paesi nel mondo. Non avremmo potuto superare il miliardo e cento milioni di euro di fatturato e conquistare i mercati di tutto il mondo senza una costante attività di ricerca. Attività che costituisce il vero fil rouge dei nostri oltre 80 anni di storia aziendale. Oggi, Bracco Imaging ha una quota pari quasi al 30% del mercato mondiale delle procedure con mezzi di contrasto per radiologia e questo rappresenta un grande motivo d’orgoglio per un’azienda familiare italiana.
Come vede il futuro?
Il futuro è fatto di scienza e tecnologia. Nei prossimi 10 anni cambierà l’80% delle nostre conoscenze mediche e quindi del nostro modo di fare prevenzione, diagnosi e terapia. La medicina sta cambiando completamente il suo paradigma e in futuro evolverà sempre più, dall’attuale medicina “reattiva”, in una medicina “proattiva”, che interviene attivamente prima che la malattia si sviluppi, sui fattori che la causano. La medicina predittiva è, del resto, già una realtà. Stiamo vivendo cambiamenti epocali nella conoscenza, grazie all’avvento di nuove e più sofisticate tecnologie, come genetica, epigenetica, imaging molecolare, nanotecnologie. L’informatica avrà il compito di integrare tutte le informazioni e l’etica dovrà mettere al centro la persona.
Diana Bracco, terza generazione di imprenditori chimico farmaceutici. Quale impronta crede di avere dato al Gruppo?
Ricordo che dopo il liceo la scelta della Facoltà non fu per me un passo facile: perché ero affascinata dalla professione medica, ma al tempo stesso la chimica e l’impresa avevano fatto parte della mia vita sin dall’infanzia. Alla fine, scelsi la facoltà di Chimica a Pavia, e a distanza di tanti anni posso dire che quella decisione si è rivelata felice, perché mi ha dato un supporto importante lungo tutto il corso della mia carriera imprenditoriale, in particolare per comprendere i processi industriali. La storia della famiglia Bracco si intreccia con la storia dell’industria chimica italiana, e ogni generazione ha apportato un nuovo tassello: mio nonno capì le potenzialità del mercato; mio padre ha avuto il merito di puntare sulla ricerca e di realizzare un’industria integrata, creando nuovi stabilimenti produttivi; io ho creduto con forza nell’innovazione e nell’internazionalizzazione del Gruppo.
Si dice che Lei sia una perfezionista: è davvero così esigente?
Certo, io sono una “doverista” con un forte senso della responsabilità e dell’etica del lavoro. Inoltre, considero la ricerca della massima qualità possibile un obiettivo irrinunciabile.
Lei è molto legata alla città di Milano e ha messo in campo molte iniziative per promuovere l’ambiente, la cultura.
Sono legatissima a Milano, perché è la città che ha accolto mio nonno esule dall’Istria e che ha permesso alla mia famiglia di iniziare una bellissima avventura umana e imprenditoriale. Sento dunque un desiderio di restituzione nei confronti di una città che mi ha dato molto. E poi Milano è la sede dell’Expo, un progetto straordinario che potrà farle vivere un nuovo Rinascimento.
Per l’Expo 2015 si è impegnata in prima linea. Nell’assemblea di ottobre si esamineranno i tagli della spesa…
Per l’assegnazione dell’Expo all’Italia mi impegnai con convinzione quando ero presidente di Assolombarda, e con lo stesso entusiasmo ho accettato di presiedere la società che si occupa della progettazione e della realizzazione di questo evento eccezionale. Il tema scelto è straordinario: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, cioè il diritto a un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti nel quadro di uno sviluppo sostenibile a livello globale, vuole affrontare le grandi sfide all’ordine del giorno dei maggiori tavoli internazionali, dalla campagna del Millennio delle Nazioni Unite, all’Unione europea, al G8.
Sono certa che l’Esposizione Universale 2015 sarà una grande occasione di sviluppo economico e di crescita occupazionale, per Milano e per il Paese. Le ricadute economiche dell’Esposizione sul sistema saranno notevoli.