Più efficienza e sostenibilità alla base dell’IT Transformation. Per Gianluigi Castelli – “CIO of the Year” per l’area EMEA agli Oracle Excellence Awards 2013 – «sta vincendo il marketing sulla tecnologia. Un marketing vuoto di contenuti»
Eni è una delle maggiori aziende energetiche integrate al mondo e opera nei settori dell’esplorazione e della produzione di gas e petrolio, del trasporto internazionale e della vendita del gas, della generazione di energia, della raffinazione e della vendita di prodotti petroliferi, della chimica e dell’ingegneria e costruzione.
Eni è presente in novanta paesi con circa 78mila dipendenti. L’anno scorso, ha realizzato un profitto di circa 20 miliardi di euro, pagando ricchi dividendi agli azionisti, poco meno di 4 miliardi di euro.
Ma qual è il ruolo dei sistemi informativi, in un’azienda come Eni? Abbiamo girato la domanda a Gianluigi Castelli, CIO di Eni, che è stato recentemente eletto “CIO of the Year” per l’area EMEA agli Oracle Excellence Awards 2013, l’iniziativa che premia i partner di Oracle, che in tutto il mondo hanno mostrato di eccellere nel generare valore per il business attraverso le tecnologie.
Data Manager: Con questa complessità e con la presenza capillare in novanta paesi, come si devono organizzare i sistemi informativi?
Gianluigi Castelli: La nostra direzione IT è molto centralizzata e ha una forte presenza territoriale che assume forme molto differenti in virtù del nostro modo di essere presenti in vari paesi. Abbiamo delle consociate al 100% che sono oggetto di una forte centralizzazione, poi ci sono i consorzi, dove siamo main contractor (per esempio in Kazakistan) e poi abbiamo partecipazioni minoritarie.
Il nostro modello di governance vede diversi livelli di accentramento, da quelli forti a quelli con schemi molto leggeri, che si riflettono nell’applicazione di contratti globali fatti a livello centrale, ma che lasciano ampio spazio alle strutture locali. La struttura centrale impiega circa 750 persone, mentre in giro per il mondo abbiamo altre 300 risorse. In termini d’investimenti e di spesa siamo intorno ai 600 milioni di euro all’anno centrali e circa 250 sull’estero.
Qual è il vostro modello di outsourcing?
In Italia, nella struttura centrale, soprattutto nell’area sviluppo applicativo, abbiamo circa un rapporto uno a tre in termini di FTE, tra interni ed esterni. Si tratta quindi di un ricorso importante a capacità di sviluppo esterno. Recentemente, abbiamo preso delle decisioni controcorrente. Per esempio, sulla parte di operations sulla gestione della nostra infrastruttura siamo passati da un contratto vecchio di 15 anni di full outsourcing a un insourcing selettivo, perché riteniamo sia meglio così, non solo dal punto di vista economico, ma anche della qualità del servizio.
Passando alle risorse fisiche, come siete organizzati? Quanti data center avete?
Dal primo gennaio del 2014, concentreremo nel nuovo data center, inaugurato il 29 ottobre a Pavia, tutti i server di servizio e tutti i server dedicati all’High Performance Computing, che utilizziamo per le simulazioni sismiche, la stima e il dimensionamento dei giacimenti. Poi, avremo un data center di disaster recovery che per ora sarà il vecchio data center primario, in outsourcing con HP da 15 anni.
Quali sono i principali progetti che avete realizzato negli anni?
I progetti più importanti realizzati sono stati quelli che avevano come focus l’esigenza di consolidamento. Fino a sette anni fa, Eni era un arcipelago di aziende, mentre con l’avvento di Scaroni è iniziata una forte azione di razionalizzazione. Abbiamo consolidato tutte le applicazioni possibili e le abbiamo anche rinnovate da un punto di vista tecnologico e dell’infrastruttura su cui si appoggiano. In particolare, abbiamo consolidato i sistemi amministrativi: avevamo ventuno sistemi SAP diversi, sparsi per l’Italia, ora ne abbiamo uno solo. Stessa cosa, sui sistemi di approvvigionamento di ogni società che abbiamo portato da 19 a uno. Inoltre, abbiamo rinnovato i sistemi di billing e di CRM della divisione Gas & Power. Non solo. Abbiamo investito più di 10 milioni di euro per la realizzazione di un grandissimo sistema di gestione del personale valido per tutto il mondo. Il progetto più importante, ora in fase di conclusione, è stato l’IT Transformation, il cui percorso di cambiamento nasce proprio con il nuovo data center. Non volevamo – però – che fosse solo un “trasloco di macchine”, pertanto abbiamo deciso di introdurre una nuova infrastruttura totalmente standardizzata basata su sistemi blade, realizzando una reale Infrastrutcure as a Service e una Platform as a Service. In questo modo, abbiamo creato il più grande cloud privato in Italia e sicuramente uno dei più grandi nel mondo.
Quale sarà lo scenario IT sia dal punto di vista tecnologico sia organizzativo?
Credo che l’hype generato attorno ai trend attuali dell’IT, in realtà confonda le aziende che non hanno il tempo di portare a maturazione i concetti buoni che ci sono dietro gli slogan. Così facendo, si genera un fenomeno acritico di “me too”, invece di una riflessione matura, che pure esisteva nel passato e di cui avremmo maledettamente bisogno, oggi. Una volta, c’era il modo IBM o il modo Digital di fare informatica: si potevano amare o odiare, ma era un pensiero forte che implicava scelte strategiche architetturali e operative molto ben definite. Oggi, manca una chiara direzione strategica da parte dei vendor e si rischia di comprare solo in base al brand e al prezzo. Sta vincendo il marketing sulla tecnologia, un marketing spesso vuoto di contenuti. Anche se vedo qualche segnale di miglioramento. Negli ultimi anni, la tecnologia hardware ha migliorato molto le prestazioni in termini di CPU, fenomeno chiaramente guidato dal mercato consumer. Faccio un esempio. Per i nostri tre petaflops che servono le simulazioni sismiche, utilizziamo architetture che nascono in ambito gaming e graphical process. Sulla tecnologia software, direi che abbiamo consolidato tutto dal punto di vista dei sistemi operativi, mentre osservo una perdita di cultura e di competenza sui temi legati all’ingegneria del software e sui linguaggi di programmazione. I linguaggi prevalenti in uso per fare i siti web rappresentano un forte regresso rispetto ai linguaggi di programmazione strutturati della fine degli anni 90 che avevano raggiunto il culmine di robustezza ingegneristica. L’ingegneria del software sembra essere una disciplina quasi caduta in disuso: avrei molto da ridire sulla manutenibilità e le performance del software che viene scritto, oggi, in assenza di una seria disciplina di programmazione.
Siamo nella fase Plug&Play, ma occorre sapere bene quel che si fa, altrimenti è un disastro. Per carità, va benissimo usare software public domain – però – poi va inserito in un contesto ingegneristico che non crei problemi, senza perdere il controllo. Le società di servizi operanti nel settore del software devono migliorare la capacità di fare applicativi di qualità.
I social media possono essere utilizzati in azienda?
In Eni, utilizziamo uno strumento social che si chiama Moka, nato per facilitare il reperimento e la condivisione di competenze all’interno della struttura ICT e che poi è diventato – di fatto – il social network di tutta l’azienda. Abbiamo una serie di stanze tematiche, moderate dalla comunicazione interna, con la finalità di distruggere quelle barriere organizzative che talvolta limitano la nostra efficacia.
L’Italia avrebbe bisogno di un CIO?
Certamente sì. In qualche misura esiste già, anche se si tratta di una poltrona per due con Ragosa e Caio a capo dell’Agenzia per l’Italia digitale. Il punto critico – però – non è il CIO, ma la struttura della nomenclatura esistente che frena il cambiamento. Se il CIO del Paese deve solo emanare delle norme, non serve a nulla e non si va molto lontani.
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GIANLUIGI CASTELLI STORY
Classe 1954, Gianluigi Castelli, con una laurea in Fisica a indirizzo cibernetico in tasca, all’inizio si dedica all’attività accademica presso il dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università di Milano, per poi entrare in Etnoteam, dove resta 18 anni con diversi incarichi fino a occupare la posizione di responsabile della divisione di System Integration. Successivamente, passa in Infostrada dove ricopre il ruolo di CIO e poi in Fiat dove nel periodo 1997-2001 opera come CIO di Fiat Auto e come CEO di Fiat GSA, la società di servizi software del Gruppo. Nel 2003, assume la carica di CIO del Gruppo Vodafone, con la responsabilità del coordinamento e del consolidamento informatico a livello mondo. Nel 2006, entra in Eni con il ruolo di CIO, sua attuale posizione.