A un anno esatto dalla sua nomina, l’Ad di Telecom Italia Marco Patuano parla dei risultati e delle strategie di una Telco che sta subendo enormi trasformazioni. E intende portare l’infrastruttura – e la cultura aziendale – del Cloud computing all’Italia delle imprese
È una di quelle aziende che nell’immaginario collettivo italiano finiscono per meritare l’appellativo di “mamma”. Il che a volte autorizza i suoi clienti, i suoi “figli”, a declinare l’ironico, ma affettuoso appellativo anche in chiave negativa, addirittura esasperata. Succede con tutte le mamme, ma alla fine il cordone ombelicale non è facile staccarlo, neppure nel contesto liberalizzato – e fortemente competitivo – dei servizi di telecomunicazione in cui ci troviamo.
Il protagonista di questa storia è, lo si sarà capito, Telecom Italia (www.telecomitalia.com). A raccontarcela, in un’intervista esclusiva, è il suo amministratore delegato, Marco Patuano. Questa cover celebra un anno giusto dalla sua nomina, avvenuta il 13 aprile dello scorso anno, in concomitanza con la nomina di Franco Bernabè a presidente. Alessandrino, bocconiano, il nuovo “Managing Director and Chief Operating Officer” di Telecom Italia ha trascorso dentro al gruppo, in cui è entrato 26enne, nel 1990, ben 22 anni di carriera professionale, in ruoli di crescente responsabilità anche internazionale. È stato per esempio general manager di Telecom Italia “Latam”, all’epoca in cui il gruppo aveva diversi interessi sudamericani oltre all’Argentina e al Brasile. Prima di diventare Ad, Patuano aveva la responsabilità del mercato domestico.
La chiacchierata parte dai risultati finanziari 2011 annunciati a fine febbraio. «Difficile commentarli se non partendo dalla dinamica in complessiva contrazione del mercato italiano. Una contrazione di prezzi, perché a fronte di una riduzione del mercato nel suo complesso i volumi di traffico minuti di voce e di dati sono tutti in crescita». Le telecomunicazioni sono in pratica l’unico settore in cui la liberalizzazione ha portato a una netta riduzione dei prezzi finali. E questo complica la vita degli operatori perché i livelli di qualità e le aspettative di individui e imprese sono invece aumentati. «I nostri indicatori non sono mai stati così buoni come in questo momento, sia per la performance delle reti e i livelli di qualità del servizio, sia per gli indici di customer satisfaction, che sono ai massimi storici».
C’è però chi lamenta problemi di connessione in mobilità e di velocità di navigazione sul fisso. «Posso solo dire che quando sono in viaggio per lavoro ho spesso la sensazione che all’estero non abbiano ingegneri di rete bravi come i nostri», risponde Patuano sottolineando non solo i positivi indici di customer satisfaction espressi mensilmente da un panel di tremila clienti nei tre rami di attività di Telecom (residenziale, piccola e media impresa, grandi aziende e Pubblica Amministrazione), ma anche la regola che vincola il 15% del salario dei manager Telecom a tali indici. «Su una scala da uno a dieci il voto che porta al conseguimento del risultato è stato fissato a 7,7, dopo il 7,5 dello scorso anno».
Cerchiamo di definire il contesto competitivo delle TLC italiane partendo dai dati forniti dalla stessa Telecom e dalla relazione Agcom (l’ultima disponibile è quella del giugno 2011). In Italia ci sono circa 22 milioni e mezzo di linee d’accesso fisse, con una costante migrazione verso una telefonia mobile che oggi vale 94 milioni di linee, pari al 155% della popolazione. La penetrazione del broadband si attesta su circa il 60% degli accessi fissi, mentre una linea mobile su cinque era considerata “broadband” nel 2010. In quell’anno, secondo Agcom, le comunicazioni fisse valevano circa 20 miliardi di euro contro i 22 miliardi di quelle mobili. Sul totale speso dagli italiani per comunicare, circa il 49% ha riguardato servizi di Telecom Italia, particolarmente forte nell’utenza affari dove è leader di mercato con una quota del 52,5%. Nel mercato residenziale invece, malgrado il primato del 33% del totale di linee mobili attribuito a TIM, il primo “percettore di spesa” per le TLC è stata Vodafone abbinata a Teletu.
I numeri del 2011
Come sono andate le cose per Telecom Italia nel 2011? «Tutto sommato bene. Abbiamo iniziato l’anno con una performance non incoraggiante e lo abbiamo chiuso, in Italia, con i ricavi dell’ultimo trimestre anno su anno al -2% e un margine operativo lordo al -0,3%». Questa leggera contrazione riguarda il mercato nazionale, perché a livello di gruppo Telecom Italia chiude il 2011 con una confortevole crescita organica del fatturato di +2,7%(+8,7% reported) sul 2010, sfiorando i 30 miliardi di ricavi consolidati, e un Ebitda organico di 12,34 miliardi, in linea con il 2010 (12,25 miliardi, +7,3% su base reported). L’indebitamento netto si riduce di oltre 1 miliardo, raggiungendo quota 30,4. Senza l’esborso legato all’acquisizione delle frequenze per l’LTE, Long Term Evolution, la quarta generazione della telefonia cellulare, il debito sarebbe sceso sotto la soglia psicologica dei 30 miliardi. Del resto l’LTE è un elemento fondamentale della trasformazione e della crescita dell’infrastruttura di Telecom da qui a tre anni. Partito con una serie di sperimentazioni aperte al pubblico, l’LTE Telecom ha già debuttato a Torino e a Roma, dove in alcuni punti vendita è stato possibile testare le nuove chiavette “4G” che permettono di navigare fino a 100 megabit al secondo.
Per contrastare i due fattori frenanti – migrazione della voce dal fisso al mobile e caduta dei prezzi del cellulare (ricordiamo che nel 2011 in Italia, Telecom ha fatturato 19 miliardi contro i 20 del 2010; di questi, 13,5 sono i ricavi del fisso, contro i 14 del 2010, e 7,1 sono stati i ricavi del mobile, contro i rispettivi 7,7 miliardi del 2010) – Patuano dice che Telecom ha «lavorato molto sul posizionamento e sulla nostra organizzazione, che oggi, per quanto riguarda il go-to-market, non ragiona più in termini di fisso o mobile bensì su segmenti di mercato: individui e famiglie e i due mercati rappresentati dalle Pmi e dai grossi clienti, public sector incluso. Ciascuna delle tre divisioni ha responsabilità tanto sul fisso che sul mobile e, per le componenti di impresa, sull’offerta ICT».
Rinnovata l’infrastruttura
Ma la rifocalizzazione del gruppo in Italia va oltre il go-to-market: Telecom ha completamente ripensato la sua infrastruttura, costruendo all’interno dell’ingegneria di rete una serie di filiere ordinate per competenze omogenee. «Sulla rete di accesso – scende in dettaglio Patuano – abbiamo ricostruito le filiere per l’accesso mobile. Su quelle di trasporto abbiamo specializzato gli ingegneri sulle varie componenti del trasporto. Ma soprattutto abbiamo rivoluzionato completamente il mondo dell’informatica». Dell’informatica intesa come supporto al business di Telecom o come offerta alla clientela impresa? «Di entrambe – è la risposta – perché la nostra informatica gestisce l’infrastruttura, per esempio abbiamo una gestione univoca di tutti i data center. Ma una quota parte di questa infrastruttura serve il mercato».
L’approccio operativo “per filiere” significa in pratica che la supply chain viene governata in modo più articolato. Chi si occupa degli acquisti sarà lo stesso responsabile della logistica, del real estate, dell’energy management. Perché questo allargamento della filiera di supporto al business? «Perché in questo modo alcuni settori che sembrano “non core”, li puoi vedere nell’insieme e scopri che sono grandi. Telecom occupa 7,3 milioni di metri quadri di superfici coperte, siamo più grandi di Grenoble. Consumiamo 2,3 teraWatt di energia elettrica, pari a due centrali nucleari, siamo il secondo “energivoro” in Italia. Abbiamo 15mila torri di telecomunicazione, dobbiamo far sedere tra interni ed esterni fino a 60 mila persone. Tutte tematiche che valgono centinaia di milioni». A fronte di circa 300 milioni di spesa annua per energia elettrica e circa 600 milioni in real estate, anche un risparmio marginale può essere significativo.
Ma c’è un’altra trasformazione importante che riguarda i temi della comunicazione, dell’innovazione, del capitale umano. «Abbiamo ridisegnato un piano industriale basato su alcune direttrici forti: l’innovazione, la qualità, la nostra presenza sul territorio. Sono queste le leve competitive sulle quali dobbiamo agire per arrivare a performance significative. C’è un ultimo punto importante. Telecom Italia spende tra Capex e Opex circa 13 miliardi di euro all’anno, circa un punto percentuale di PIL. L’87% di questa somma viene pagato da Telecom ad altre aziende italiane venendo poi rimesso in circolazione per fare ricerca, innovazione, telecomunicazione». Patuano si dice stanco di sentir parlare solo delle cose che Telecom non fa, della fibra che manca, del forte indebitamento. «In questo 2012 investiremo più in fibra che in rame, costruiremo oltre 1.200 nuovi siti di antenne radiomobili senza ricorrere neanche in minima parte all’offshoring. Non ho bisogno di andare in India: il mio Bangalore si chiama meridione d’Italia».
Il debito che grava sul gruppo resta importante, anche se in questo Telecom non è meno virtuosa di tanti big delle telecomunicazioni: in che misura può agire da freno sulla trasformazione della rete? «Dal 2007 a oggi Telecom ha ridotto di circa sei miliardi il proprio indebitamento. «Non facendo cose? Non direi. Abbiamo acquisito due aziende in Brasile, abbiamo speso più di 1,2 miliardi per le licenze LTE. Nei prossimi tre anni investiremo nel mercato domestico non meno di 3 miliardi all’anno. Al tempo stesso il management si è dato un obiettivo preciso: portare il debito alla soglia fisiologica pari a circa due volte l’Ebitda al 2014». Un percorso di “deleverage” che non andrà a penalizzare la competitività e che Patuano intende concretizzare agendo soprattutto sull’organizzazione e su una capacità decisionale ancora più agile e mirata. «Lo sviluppo delle nuove tecnologie porta ad avere di fronte alternative sempre nuove. È finito il tempo in cui pur di non scegliere le provo tutte: bisogna analizzarle, capirle e poi decidere in fretta, perché se non hai preso la decisione giusta occorrerà cambiare subito».
L’impegno nel Cloud
Come esempio di questa nuova capacità, Patuano porta la recente storia dell’impegno di Telecom Italia sul Cloud computing. Oggi Telecom è considerata una delle Telco mondiali più avanzate sul Cloud. Un traguardo raggiunto perché un paio di anni fa il management di Telecom ha intuito l’epocale cambiamento affrontato dalle grandi imprese e l’inesorabile destino di appiattimento cui andavano incontro i prezzi dei servizi di TLC tradizionali. Per rendere possibile l’adeguamento alla nuova realtà, sostiene Patuano, non era sufficiente investire sui data center, sull’aspetto della virtualizzazione della capacità elaborativa e dello storage. L’azienda è intervenuta sull’interazione tra questa capacità e la rete di trasporto, un lavoro duro che ha comportato scelte coraggiose, come la nomina a responsabile di tutto il marketing per la clientela “top” di una figura come Stefano Nocentini, grande esperto di ingegneria di rete, un tempo considerato come il delfino di un altro Stefano, lo Stefano Pileri che aveva governato la prima fase del percorso verso la Next Generation Network. A Nocentini e a Simone Battiferri, responsabile dell’intera divisione Top Clients and Public Sector, Patuano attribuisce un ruolo fondamentale nel successo della strategia Telecom per il Cloud, un traguardo che si esplicita nel recente slogan “La Nuvola Italiana di Telecom Italia. L’unico cloud con la rete dentro”.
Come prosegue, a questo punto, il cammino verso la Ngn, la strategia dell’accesso fisso e mobile a larga banda, l’offerta dei servizi articolati tra residenziale e impresa? Secondo Patuano tutto quello che ruota intorno a Internet e alle nuove forme di comunicazione è un percorso imprescindibile per un Paese come l’Italia, ma non può che avvenire in una logica di mercato, se a condurlo è, a tutti gli effetti, un’impresa privata. Che cosa significa questo in pratica? La risposta, avverte l’Ad di Telecom Italia, non è univoca. Patuano inizia col separare i due concetti di offerta e domanda di banda. «Se per esempio parliamo della necessità di costruire reti a banda ultralarga da 100 megabit al secondo per un’offerta residenziale su un footprint nazionale, un progetto di questo tipo non sarebbe market driven poiché in questo momento sul residenziale abbiamo più offerta di banda che domanda». Una seconda distinzione riguarda le varie tipologie di accesso: rete in fibra punto-punto, Gpon multipunto, fibra più rame… «La verità – riassume Patuano – è che l’accesso deve comprendere un insieme di tutte queste tecnologie, perché a seconda del tipo di domanda da soddisfare la risposta migliore può essere il punto-punto, il Gpon multipunto o, perché no, il wireless LTE». La stessa flessibilità di approccio deve riguardare l’aspetto applicativo, di servizio. Cento megabit al secondo per un cliente residenziale possono essere non necessari considerando che con cinquanta megabit si collegano quattro televisori Full Hd. Viceversa anche una piccola impresa può svolgere attività che richiedono una banda davvero ultralarga.
Un piano in quattro punti
Alla luce di questa premessa, l’evoluzione infrastrutturale di Telecom si articola su quattro punti. «Il nostro piano – spiega Patuano – prevede che nei prossimi tre anni lavoreremo intensamente su soluzioni fisse e mobili. Nel mondo della telefonia mobile, la banda ultralarga fa capo a due soluzioni tecniche che sono il 3G a 42 mega e LTE fino a 100 mega. Su quest’ultimo investiremo tra i 400 e i 500 milioni in tre anni con un duplice approccio: uno che parte dai centri a più alta densità di domanda e un altro che guarda alle zone dove la copertura fissa è più difficile». Il digital divide, prevede Patuano, si supererà in molte situazioni grazie a connessioni LTE, che non comportano, per il cliente, alcuna differenza percepita a livello di qualità di servizio.
Per quanto riguarda la banda larga e ultralarga fissa, l’investimento partirà da un mix di soluzioni Fiber to the home (Ftth), Gpon e Fiber to the Cabinet (FttCab). Quest’ultimo comporta numerosi vantaggi. Oltre a un tempo di deployment molto rapido, l’FttCab offre un immediato upgrade della performance della rete di accesso fino ad almeno 50 megabit al secondo o addirittura fino a 80 megabit utilizzando le cosiddette tecnologie di “vectoring” che permettono di trasportare i dati sul rame moltiplicando il numero di canali portanti. Infine la fibra fino al cabinet residenziale assicura un’elevata scalabilità: in caso di aumento della domanda, l’ultimo tratto viene realizzato in fibra e l’attrezzatura precedente può essere riutilizzata altrove.
Affrontando la questione che in questi anni ha riguardato la cosiddetta “one net”, ovvero la possibilità di creare un’unica infrastruttura di accesso indipendente e partecipativa, Patuano pone un controquesito: «Questo approccio basato su una molteplicità di tecnologie deve avvenire in una logica di ricostituzione di un monopolio di fatto? Ovviamente no, nel senso che tutte queste soluzioni devono necessariamente prevedere delle pari offerte wholesale per consentire a tutti gli operatori che vogliono erogare il servizio senza infrastrutturarsi o con un limitato livello di infrastrutturazione, di poter competere sul mercato».
Al terzo punto della strategia c’è il piano rivolto ai distretti industriali che oggi non sono adeguatamente supportati nell’offerta di soluzioni a banda ultralarga. Telecom intende quintuplicare il numero di punti presenza (Pop) gigabit Ethernet, passando dagli attuali cento a non meno di cinquecento pop in due anni. In questo ambito l’operatore intende incrementare la capillarità, ma anche la solidità architetturale in caso di soluzioni ridondate. Attestare una linea di back-up sullo stesso pop non è vera ridondanza, avverte Patuano. «Abbinare il forte aumento del numero dei pop gigabit Ethernet a una logica FttCab, ci permette di coprire le esigenze sia delle grandi aziende, sia delle imprese più piccole che oggi non possono ricevere banda nell’ordine di 50-70 megabit e si combina con un quarto e ultimo elemento fondante della nostra strategia: l’investimento sul Cloud computing. Oggi sono attivi sette data center con componenti più o meno grandi di Cloud computing. Sono realtà gestite da centri di controllo (Noc) e sicurezza (Soc) dedicati, non sovrapposti alla gestione interna, in modo che il cliente abbia un punto di accesso assolutamente dedicato. È previsto un ulteriore investimento (tra i 150 e i 200 milioni di euro nei prossimi tre anni) in nuove infrastrutture di data center, ampliando e potenziando i centri esistenti, ma anche andando a costituire data center “di prossimità”, destinati a rispondere alle esigenze di clienti che dovessero avere specifiche necessità locali». La prossimità al cliente nel suo territorio è fondamentale se davvero si vuole supportare con la consulenza e i servizi una migrazione al Cloud che molto spesso si fonda sulla perfetta concertazione tra “pezzi” di servizi applicativi e infrastruttura convenzionali e porzioni che invece adottano i nuovi paradigmi.
I servizi
Quali servizi erogherà dunque l’infrastruttura di Telecom Italia, attraverso quali modalità? Come si affronta la concorrenza che arriva da servizi, applicazioni, contenuti proposti dal cosiddetto mondo “over the top” (Ott), l’insieme dei fornitori non infrastrutturati che si appoggiano però sulle reti delle Telco vere e proprie? Anche qui la risposta parte da una analisi dei bisogni. Nel mondo residenziale, consumer, ci sono due tipologie di richiesta: l’insieme dei servizi voce e Sms più tradizionali e l’insieme dei verticali rappresentati dall’entertainment, video, musica, gaming, comunicazione via Internet, social network, storage di contenuti, e-commerce. Tante realtà verticali che piovono dalle “nuvole” degli operatori, gli infrastrutturati e gli over the top, attraverso accessi fissi o mobili. «Il signore che tanti anni fa aveva il suo telefono in bachelite, oggi continua ad avere il suo telefono, ma anche il cellulare, l’iPad, il laptop, il televisore connesso e tanti altri oggetti. Attenzione però, perché oltre alle reti e ai device c’è uno strato che il cliente non vede, ma che è molto importante: lo strato delle piattaforme di servizio. Per esempio una content delivery network, il digital right management, il digital asset management, il billing, la security, tante piattaforme». Qual è la differenza, quali servizi erogheranno gli over the top e quali le Telco? Se un servizio lo voglio usufruire in modalità unmanaged/best effort, dice Patuano, è un servizio da Ott. Se invece voglio un servizio managed, con qualità garantita, è un servizio da Telco. «Esiste la possibilità che gli over the top eroghino servizi a qualità garantita? La risposta a questa domanda è la vera frontiera: i Telco operators dovranno mettere a disposizione, a pagamento, le Api alle loro piattaforme di servizio in modo che gli Ott, se vogliono, possano vendere quality of service».
Nel mondo aziendale questo modello di verticalizzazione si ripete, addirittura in modo più semplice. Accanto alla comunicazione tradizionale, la quotidianità dell’impresa è un ciclo costituito da fasi di pre-vendita, vendita e post-vendita. L’impresa ha bisogno di infrastrutture, di back office e di front end. Sul piano infrastrutturale troveremo server e Pabx virtuali, lo storage, la capacità elaborativa. Nel back-office gli applicativi come SAP, la virtualizzazione del desktop. E infine sul front la gestione della forza vendita, ma anche il call center virtuale per i clienti. Tutto questo poggia su reti e piattaforme di servizio e anche qui varrà sempre più la distinzione tra servizi unmanaged/best effort da un lato, e qualità garantita dall’altro.
L’utenza affari sarà caratterizzata da un forte tema di fondo, conclude Patuano. Nasceranno sicuramente grandi partnership sulle infrastrutture e ci sarà un cambiamento epocale nei canali di vendita, rappresentato per Telecom da due passaggi. Una riqualificazione della propria forza vendita, che conosce perfettamente le reti, ma deve conoscere meglio le piattaforme lato IT. Il secondo invece riguarda il mondo delle Pmi, quello cui è rivolta l’offerta “Impresa Semplice”. Telecom metterà a disposizione della microimpresa la stessa infrastruttura che indirizza il grande cliente e in questo senso i piccoli potrebbero addirittura essere i più avvantaggiati in termini di opportunità. Ma come far arrivare a destinazione questa rete e i suoi servizi? «Il piccolo imprenditore oggi si fida della software boutique dell’angolo, un fatto del tutto normale, per nulla negativo. Il tema è che queste software boutique dell’angolo devono diventare nostri partner, perché i loro clienti possano far girare il software sui server virtuali del Cloud, mentre il margine che prima costruivano vendendo ferro, domani lo faranno grazie a noi, perché i clienti potranno acquisire macchine virtuali più performanti, soluzioni più sicure, architetture migliori».
La sfida
È una sfida impegnativa per Telecom, ma lo è ancora di più per l’Italia, dove le due maggiori aree di criticità per la trasformazione restano le microimprese e la Pubblica Amministrazione. Per quest’ultima soprattutto la sfida va affrontata con una logica più progettuale rispetto a quanto fatto in passato. Da un lato c’è l’aspetto delle infrastrutture, con il Cloud che promette un percorso di ammodernamento più efficace e cost effective rispetto alle passate strategie di sostituzione. C’è il rischio di provocare un’ondata di esuberi nel settore? Esuberi no, ma forte riqualificazione sì, risponde l’Ad di Telecom, che precisa: «La riqualificazione del personale, però, vale per tutti». Per il settore pubblico c’è un altro aspetto di cui tener conto: la presenza di ambiti verticali – la sanità, la scuola, i trasporti, l’energia – da affrontare ancora una volta in una ottica di filiera. «Prendiamo la sanità. Serve chi si prende cura della cartella elettronica, dello storage dei dati, della messa in rete degli ospedali, della rete dei medici di base… Un grandissimo progetto che parte dal fascicolo sanitario personale elettronico e arriva alla remotizzazione del posto letto del malato cronico. È realistico pensare – si chiede retoricamente Marco Patuano – che un singolo player possa giocare in solitaria su una filiera così lunga? O che tutto accada senza una guida, un coordinamento forte dall’esterno?».
È una realtà complessa, quella che Telecom Italia si appresta ad affrontare. Senza dimenticare, oggi che di servizio universale e monopolio non si può più parlare, la sua missione originaria, il suo ruolo di custode e mediatore dell’asset infrastrutturale più importante su scala nazionale.
foto di Lorenzo Ceva Valla