#formattiamoilpdl ovvero la politica al tempo di twitter

Illustri Manager Digitali, lo scorso sabato (26 maggio 2012) i giovani del Popolo delle Libertà si sono riuniti in quel di Pavia per un convegno all’insegna dell’hashtag #formattiamoilpdl, per discutere del ricambio generazionale della classe dirigente del proprio partito.

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All’iniziativa è stato dato ampia risonanza da parte dei vari organi di stampa. Qui mi limiterò ad analizzare le modalità con cui si è svolta su Twitter questa proposta politica, che rappresenta una discreta case history di pregi e difetti della comunicazione politica cinguettante.

Innanzitutto #formattiamoilpdl non è un hashtag nuovo, ma ha una discreta storia. Nasce nel gennaio del 2012 ad opera di alcuni giovani del PdL, desiderosi di rilanciare l’immagine del partito notevolmente appannata dopo tanti scandali e lotte intestine culminate con le dimissioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio.

Peraltro #formattiamoilpdl ha anche un proprio sito internet http://www.formattiamoilpdl.it/, dove viene così descritta in sintesi l’iniziativa:

#FORMATTIAMOILPDL nasce dalla rete

E’ un hashtag, un contenitore d’idee, critiche, proposte e speranze utili per chi vuole cambiare in meglio il Pdl

E’ un movimento orizzontale

Non ha padroni, né vertici, ma solo rappresentanti

E’ una cassa di risonanza per migliorare il partito

Non impone idee, ma dà loro voce

Spera che i contributi del popolo della rete possono diventare realtà grazie alla militanza e all’impegno di ognuno nel proprio territorio

Vuole, spera e non smette di credere in una politica migliore

#FORMATTIAMOILPDL crede nella meritocrazia

[Tratto da: http://www.formattiamoilpdl.it/]

Il sito dall’impatto molto amatoriale ed essenziale, pare essere esterno alla galassia di siti del Popolo delle Libertà. La grafica, per chi come il sottoscritto ama smanettare, è volutamente spartana: esistono tonnellate di template gratuiti dall’aspetto accattivante. Così l’aspetto dimesso del sito è chiaramente anch’esso strategia di comunicazione digitale, sta come a dire: è un sito autoprodotto e autogestito.

Così all’insegna dell’hashtag #formattiamoilpdl nei mesi scorsi si è proceduto a mobilitare i Juniores del partito per l’evento di Pavia, in cui discutere come ripartire per superare i seguenti problemi:

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Il Popolo della Libertà è stato soggetto a tutti e due i problemi:

  • I malware (tradotto: programmi malvagi): personalismi, centralismo, scarso e inadeguato utilizzo della rete, rappresentanti non rappresentativi, mancanza di comunicazione, mancanza di coinvolgimenti elettori, selezione della classe dirigente con metodi stravaganti, candidature particolari, scarso controllo dell’informazione.

 

  • Il software difettoso: lo statuto del Pdl è lo statuto di un partito del ‘900, poteva essere adatto ad un partito degli anni 70: tesserati, elettorato attivo e passivo, congressi per eleggere chi prende le decisioni. Al testo manca solo la ceralacca e poi può fare la sua apparizione in un film di Peter Jackson.

[Tratto da http://www.formattiamoilpdl.it/index.php/formattiamoilpdl]

Anche la scelta del linguaggio da informatici rientra#mce_temp_url# in una strategia di comunicazione ultimamente molto in voga in Italia. Sull’onda del successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, c’è stato un notevole affannarsi ad utilizzare un linguaggio che facesse riferimento alla Rete. Così negli ultimi due anni si è assistito ad un proliferare di richiami al wiki, alla open governance, al open data e ad ogni possibile termine in grado di catalizzare l’attenzione dei geek. Il tutto ovviamente condito da recruiting a destra e manca delle star della Rete (Riccardo Luna, Marco Montemagno, ecc…).

L’evento di sabato ha visto coinvolti anche blogger di spicco nel panorama politico di destra, in particolare Il Fazioso e DAW-Da un altro punto di vista, i quali hanno fornito il loro personale punto di vista sulla vicenda (sostanzialmente positivo per il primo e negativo per il secondo).

Venendo alla parte più interessante del discorso possiamo descrivere il sentiment della giornata del 26 maggio, catalogando i cinguettanti come segue:

  • Storyteller: Un primo gruppo di utenti, presenti fisicamente all’evento, ha sostanzialmente proceduto ad effettuare una sorta di cronaca via twitter della giornata. In ogni comunicazione politica digitale gli storyteller sono molto importanti in quanto da un lato registrano gli eventi fornendo materiale giornalistico a costo zero, dall’altro danno risonanza all’evento garantendone la visibilità e l’approdo ai temi di tendenza.
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  • Opinion – leader: In simultanea gli Opinion leader presenti all’evento hanno proceduto a esprimere in diretta le proprie opinioni. In particolare hanno spiccato quelle di Angelino Alfano e dei già citati autori de Il Fazioso e DAW (quest’ultimo è il misterioso personaggio citato dalle cronache che ha richiesto le dimissioni di Alfano). Ovviamente la comunicazione degli Opinion Leader tira gioco forza l’acqua al proprio mulino, quindi si potevano trovare in diretta letture dell’evento assolutamente agli antipodi.

 

  • Commentatori: La massa dei commenti è stata notevole. Va notato che da una breve analisi su The Archivist emerge come oltre la metà degli utilizzatori dell’hashtag abbia scritto via web da PC domestico. Ovviamente il commento ha avuto ogni declinazione possibile da quelle completamente favorevoli a quelli che vedevano nell’iniziativa un tentativo costruito ad arte di rilanciare un partito agonizzante.

 

  • Burloni: Una discreta fetta di utenti ha approfittato della metafora informatica per deliziare i propri follower con mirabolanti battute da smanettoni. Su tutte la più geniale quella di ‏@twittopolis#FormattiamoilPDL Errore 404 – Pagina non trovata”. Quando si comunica su Twittter bisogna sempre tener conto che c’è una sorta di mirabolante gara alla battuta ad effetto, che coinvolge spesso penne molto sottili.

 

  • SpamBOT: Quando l’hashtag ha iniziato a dominare i temi di tendenza sono arrivati anche gli spamBOT sotto forma di finti account di discinte fanciulle che cinguettavano frasi in italiano apparentemente sensate, ma fuori contesto, deliziandoci con link di malware e spam. Dopo tanti Noemi Gate e Ruby Gate, parevano una sorta di mirabolante vendetta del digitale sulla politica digitale.

Insomma illustri Manager Digitali la comunicazione politica via Twitter è molto complessa e spesso, se non si utilizzano adeguati strumenti di filtraggio, si rischia di perdersi in un brusio molto caotico.

In sintesi la politica cinguettante presenta alcuni grossi svantaggi e vantaggi:

  • Non è moderabile: Nella comunicazione politica come la conosciamo in Italia la moderazione dei contenuti ritenuti eterodossi rispetto alle direttive del Partito è un elemento fondamentale per il mantenimento della coerenza interna. Per molti politici è meglio gestibile un blog, una Pagina o un Gruppo Facebook, dove moderare i commenti negativi o ritenuti lesivi. Tuttavia l’assenza di moderazione è anche un punto di forza se si vuole aprire un partito ad istanze nuove. Bene inteso, se si intende ascoltarle. 
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  • Attualismo: L’evento ovviamente viene descritto nel suo divenire, tutto è veloce, il giorno dopo si ha la sensazione di aver perso qualcosa, spesso il volume dei messaggi è tale che solo i più esperti possono raccapezzarsi… Eppure questo consente anche di avere una percezione gestaltica del sentimento che si respira tra gli internauti. E per dare risonanza in diretta a un evento non esiste al momento strumento migliore sui Social Network.

 

  • Frammentazione: La comunicazione emerge frammentata, spezzata, sincopata. Questo da un lato costringe alla sintesi, dall’altro spesso si traduce in lunghi discorsi su più tweet di cui si perde il filo logico. Tuttavia ciò è anche importante, perché consente in un unico “luogo digitale” a più voci diverse per esperienza politica di confrontarsi.

Concludendo, penso che se Twitter implementasse al proprio interno alcuni strumenti di filtraggio e customizzazione più performanti si potrebbe rendere lo strumento un ottimo canale di comunicazione politica. Ciò contribuirebbe anche a svecchiare il panorama da liturgie sentite sempre più inutili e pesanti.

Un piccolo appunto: tra wiki, rottamatori, formattatori, open governance, open data, think tank, geek… non se ne può più.

Perché non cambiare metafore? Sembra di essere tornati all’ottocento in cui la ferrovia era sinonimo di “magnifiche sorti progressive”.

Sono solo computer. I problemi della politica italiana non sono di linguaggio, ma di contenuti.

>> Vedi tutti gli altri articoli della rubrica “Cinguettii” a cura di Giovanni Scrofani