L’Europa fruga nelle tasche dei colossi del web

Molti governi europei denunciano la sproporzione fra ricavi e tasse dei grandi fornitori di servizi web e prendono le contromisure

L’Europa ha detto basta alla sproporzione fra ricavi e tassazione delle web company straniere. Molti governi del continente stanno prendendo iniziative per scucire più quattrini a colossi come Amazon e Google. Dal canto loro le aziende statunitensi del web rivendicano il loro diritto di pagare la maggior parte delle tasse negli Stati Uniti.

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Regno Unito: “Pagare poche tasse non è illegale ma immorale”

Il New York Times ha sciorinato i numeri: Google ha dichiarato 4 miliardi di fatturato in Gran Bretagna ma ha pagato meno di dieci milioni di dollari in tasse. Il motivo? L’azienda di Mountain View ha la sede fiscale a Dublino e molte delle transazioni risultano effettuate in Irlanda, dove l’aliquota è al 12,5%. I contratti pubblicitari, che porta enormi guadagni a Google, sono firmati con la filiale dell’Isola di Smeraldo e non con le sedi dove risiedono gli inserzionisti.

Margaret Hodge, presidente della commissione del parlamento britannico che si interessa della questione, ha indagato sui motivi di questo enorme scarto. “Paghiamo le tasse che siamo obbligati a pagare in tutti i Paesi in cui operiamo” ha dichiarato Matt Brittin, responsabile di Google per il Nord e l’Europa centrale. La replica della Hodge è stata: “Non vi stiamo accusando di pratiche illegali, ma di pratiche immorali”.

Amazon invece ha la sede principale in Lussemburgo, noto per la pressione fiscale minima per le imprese multinazionali. Il sito di e-commerce ha guadagnato in Europa 9,1 miliardi di euro e le tasse pagate ammontano a solo 8 milioni di euro. Andrew Cecil, direttore delle politiche pubbliche di Amazon, ha tenuto a sottolineare che quando i clienti in tutta Europa comprano libri da Amazon, in realtà li acquistano dalla controllata lussemburghese. Una sottigliezza amministrativa che ha permesso ad Amazon di fare enormi profitti.

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Anche la Francia batte cassa

Parigi pare abbia chiesto a Google, che già deve pagare 22,5 milioni di dollari per aver spiato gli utenti con Safari, 1,7 miliardi di euro di tasse e sanzioni arretrate mentre Cecil ha affermato che il fisco francese ha richiesto 252 milioni dollari ad Amazon. Da parte sua, Mountain View ha affermato di non aver “ricevuto alcun accertamento da parte dell’amministrazione fiscale francese” e di “collaborare con le autorità”.  

Il presidente del Paese d’oltralpe, François Hollande, sta cercando sostegno fra i suoi colleghi di tutta Europa per unificare le norme fiscali per il calcolo delle imposte delle multinazionali all’interno dell’Ue. Sia George Osborne, cancelliere dello Scacchiere britannico, che il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, sono dello stesso avviso e hanno chiesto una maggiore “cooperazione internazionale per rafforzare le norme internazionali in materia di regimi fiscali aziendali”. Il dibattito è ancora in corso, visto che molti Paesi temono di perdere investimenti importanti e sono incerti sul fatto che l’adesione alle norme debba essere volontaria o obbligatoria. 

In Germania gli editori si ribellano

Dopo gli editori francesi, che richiedono di imporre a Google una tassa per l’utilizzo dei propri articoli sul motore di ricerca, anche i media tedeschi avanzano la stessa pretesa. Le leggi sul copyright in Germania tendono a favorire prima i creatori di contenuti, cosa che quindi rende legittima la ratifica di una tale tassa. La verità è che la paura maggiore degli editori europei non è quella di perdere profitti che gli sarebbero dovuti quanto quella di chiudere per essere sostituiti in toto da Google News.

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