Google presenta le scarpe parlanti

Dopo gli occhialini ecco le Talking Shoes per sentirsi dire quanto siamo pigri

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Sarà la vicinanza dell’uscita nelle sale de “Il grande e potente OZ” (ispirato al “Meraviglioso Mago di OZ” dove Dorothy ha un paio di scarpette magiche prese alla Strega Cattiva), sarà l’euforia per il prossimo arrivo dei Glass, ma Google ora sembra davvero esagerare. Alla kermesse statunitense South by Southwest, che mette in scena le ultime innovazioni nel campo della creatività digitale, Big G ha presentato un prototipo delle sue Talking Shoes, una scarpa intelligente che prosegue l’obiettivo di Google di sviluppare una serie di tecnologie indossabili.

Come funzionano

Le scarpe hanno dei sensori che riescono a tradurre in messaggi il movimento di chi le indossa. Il target degli utenti è soprattutto quello sportivo: le scarpe infatti riescono ad analizzare il comportamento periodico delle persone, sentenziando di volta in volta il grado di movimento effettuato. Può capitare quindi di sentirsi dire “re della poltrona” oppure “perfetto maratoneta”. La scarpa utilizza la tecnologia Bluetooth per collegarsi a Internet ed è in grado di fornire la localizzazione e le direzioni utilizzando le app di mappatura di Google.

Tecnologie chiacchierone

Difficile che un tipo di scarpe del genere possa vedere il mercato così presto. In realtà quello che ha voluto mostrare Google è la possibilità di sensorializzare ogni tipo di tecnologia che è presente oggi nella società. Una presa di coscienza di come vengono utilizzati dispositivi e gadget, umanizzandoli con il rischio però che l’hi-tech etico ci soffochi. Google ha spiegato che il sistema Talking Shoes potrebbe benissimo essere applicato ad un microonde oppure ad una lavatrice, in grado entrambi di dirci della pessima qualità di quello che cuciniamo o dei vestiti da lavare. Un’estremizzazione di quell’internet delle cose spesso decantato, conseguenza del web 2.0 che ha sviluppato una nuova concezione dell’interfaccia uomo-macchina, non più unidirezionale ma capace di restituire emozioni e passioni (prerogativa dei social network). Il web 3.0 invece sarebbe quello scenario che riesce a restituire alle persone oggetti tecnologici di matrice “sociale” ma realmente esistenti e utilizzabili, come appunto un paio di scarpe.

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