Facebook ha pensato di migliorare i suoi algoritmi per l’identificazione di contenuti legati al revenge porn chiedendo agli utenti di fornirgli foto di nudo
Il revenge porn è una pratica che si è diffusa negli ultimi anni e consiste nel pubblicare online foto intime o di nudo dei propri ex partner per vendetta. Questo tipo di comportamento particolarmente disdicevole è diventato una vera e propria piaga tanto che diverse aziende che operano sul web come Google, Microsoft, Twitter e Facebook hanno realizzato appositi strumenti per combatterlo. Proprio quest’ultimo sta sperimentando un innovativo sistema di controllo mirato a prevenire la diffusione di questi contenuti più che sulla censura a posteriori in modo del tutto inedito.
Facebook ritiene che per bloccare alla nascita il revenge porn deve migliorare i suoi sistemi di riconoscimento dei contenuti ritratti nelle foto. Per questo ha chiesto agli utenti di fornire volontariamente scatti in cui non indossano i vestiti. Il sistema è attualmente sotto sperimentazione in Australia con il sostegno delle autorità locali. I partecipanti al test hanno dovuto compilare un questionario redatto dalla società di sicurezza online e-Safety e poi condividere su Messenger la propria foto con l’etichetta “immagine intima non consensuale”. Grazie a queste nuove informazioni ritiene sia possibile rendere più efficiente l’intelligenza artificiale e l’algoritmo di riconoscimento facciale integrato nei sistemi di controllo di Facebook, che in questi giorni ha rilasciato la versione Android di Bonfire. In questo modo sarà possibile identificare le foto di nudo che ci ritraggono e bloccarne per tempo la pubblicazione.
Se condividere immagini che possono crearci imbarazzo con il proprio partner è pericoloso, perché non dovrebbe essere lo stesso con Facebook? Inman Grant, numero uno di e-Safety, sottolinea che il social network non salverà gli scatti forniti dagli utenti nei suoi server ma le utilizzerà solamente l’impronta digitale. Nonostante le rassicurazioni del partner di Facebook i dubbi rimangono. La storia ci insegna che molto spesso anche i grandi colossi del web sono poco attenti quando si tratta di proteggere la privacy come ha dimostrato l’hacking di iCloud.