Lee Jae-yong, vicepresidente di Samsung, avrebbe pagato tangenti al governo per ottenere la poltrona di CEO
Piove sul bagnato in casa Samsung. Il suo vicepresidente Lee Jae-yong è rimasto coinvolto nello scandalo che ha portato alle dimissioni del premier della Corea del Sud, Park Geun-hye. Il rampollo del colosso dell’elettronica e nipote del fondatore Lee Byung-chul è accusato di aver pagato tangenti a Choi Soon-sil, la consigliera “sciamana” della presidente Park, per favorire la scalata verso i vertici dell’azienda. Lee è stato interrogato per 22 ore ed entro mercoledì verrà presa una decisione se ratificare o meno il mandato di arresto con l’accusa di appropriazione indebita e falsa testimonianza.
Dopo i problemi alle batterie di Galaxy Note 7, che oltre al danno economico e di immagine hanno anche provocato un ritardo nel rilascio di Galaxy S8, il possibile arresto di Lee Jae-yong potrebbe essere il colpo di grazia per Samsung, i cui titoli hanno perso il 2,3% a seguito della diffusione della notizia. Lee è accusato di aver corrisposto alle fondazioni della Choi circa 34 milioni di euro per avere in cambio favori politici, una prassi seguita anche da altri conglomerati finanziari coreani (chaebol). Questi si sarebbero concretizzati nel 2015 a seguito della fusione di due sussidiarie di Samsung. In quell’occasione il sistema pensionistico nazionale finanziò in parte l’operazione da 8 miliardi di dollari dando così il via alla scalata di Lee ai vertici dell’azienda. Le prove del complotto sarebbero stata trovate sul tablet dello stesso Lee all’interno di alcuni documenti e della corrispondenza.