Secondo l’American Civil Liberties Union (ACLU) l’organo federale avrebbe avanzato decine di richieste a Big G. Ecco perché
Non sarà forse una consolazione, ma Apple non deve sentirsi sola nella lotta contro l’FBI. La vicenda, conclusa con lo sblocco dell’iPhone 5C del terrorista di San Bernardino da parte dell’organo federale, grazie all’aiutino di un’agenzia di sicurezza, rischia di diventare un pesante boomerang per i soggetti interessati. Da una parte la Mela, evidentemente contrariata dalla violazione forzata del suo terminale, resa possibile (a quanto pare) tramite un mirroring della memoria NAND, più complicato con i recenti iPhone che adottano il Secure Enclave; dall’altra l’FBI stessa, che rischia di passare come la cattiva della situazione all’interno di una complessa indagine di sicurezza nazionale.
Anche Alphabet
Ma non solo Apple dicevamo. Si perché, secondo un recente report della ACLU, American Civil Liberties Union, l’FBI avrebbe inviato decine di richieste di sblocco anche a Google, 63 per la precisione. Cosa riguardavano? Smartphone ovviamente con sistema Android, per ottenere le informazioni sensibili in essi contenute, come i dati personali degli utilizzatori. “Ci sono molti casi come questo in giro – ha detto l’ACLU – oltre i 63 individuati, sappiamo essercene altri 13 mentre Apple ha identificato 12 richieste pendenti”. In realtà la casistica potrebbe essere anche maggiore se si considerano anni precedenti dove la priorità non era quella di far conoscere tali attività in difesa dei diritti personali. “L’FBI vuole farci credere che le richieste di sblocco dei terminali avvengono solo in casi straordinari (avanzati tramite il cosiddetto All Writs Act). A quanto ci risulta invece, molti degli ordini hanno assunto lo status di ordinario”.