L’innovazione, l’imbuto e la macchina da rally

 

 

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Vantaggio competitivo e crescita. Comprendere e facilitare il cambiamento per non fare la fine dei cavalli alla metà del Novecento

Le imprese italiane si convertono alla Digital Transformation, ma occorre fare di più. Dal 12esimo piano della UniCredit Tower, AON, AREU, Brembo, MiroglioVodafone e UniCredit hanno discusso di innovazione, crescita e business insieme a Fincons, Trend Micro, Schneider Electric, nella Tavola Rotonda organizzata da UniCredit e Data Manager. Le divisioni IT sono in bilico tra vecchia IT e nuova IT, tra spinta alla conservazione e trasformazione. Secondo Gartner, entro il 2017 i CMO controlleranno più spesa IT dei CIO. E per gli analisti di IDC, c’è una spinta al cambiamento che nella maggior parte dei casi è guidata dalle LOB. E a questo punto, molti cominciano a chiedersi se i CIO siano più conservatori o innovatori. Gestire l’IT con una logica di business assicura supporto e valore nell’attuazione della strategia aziendale. I punti chiave sono: nuove competenze e disciplina di business, metriche efficaci, sicurezza, integrazione e una forte governance. Le aziende continuano a perseguire l’ottenimento di performance ottimali, ma una sfida comune rimane quella di abbattere le barriere tra le aree operative di business e l’organizzazione IT. Ma con quali risultati? E siamo sicuri che l’IT sia veramente innovativa?

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Che cosa è l’innovazione

L’innovazione nasce dal confronto delle idee e dalla collaborazione tra IT e Line of Business (LOB) per una nuova «seamless relationship» – come ha spiegato Massimo Messina, head of Global ICT di UniCredit. A cominciare da un ecosistema virtuoso dell’innovazione a livello di sistema Paese. L’innovazione non è un evento isolato, ma un processo continuo di adattamento al cambiamento e per acchiapparlo occorre che ciascuno faccia la sua parte, condividendo i risultati. L’innovazione è caotica per definizione. Non procede in linea retta, ma è discontinua. E per crescere deve essere coltivata ogni giorno. Per trasformarsi in vantaggio competitivo – però – ha bisogno del terreno giusto. La crescita dimensionale e le economie di scala non garantiscono un vantaggio competitivo eterno, anzi espongono le organizzazioni a scosse da parte della concorrenza ancora più forti.

L’innovazione crea e l’innovazione distrugge

Le politiche per l’innovazione, la cultura aziendale, gli investimenti e un approccio aperto rappresentano gli anticorpi per reagire agli effetti della trasformazione tecnologica. Ma per fare un salto in avanti accorre anche una visione capace di immaginare il futuro oltre le trimestrali e capace di costruire un’alleanza strategica tra la PA e i diversi settori industriali dei servizi, del software, del retail, della sanità, del manufacturing e del finance, perché nel mondo c’è un eccesso di ricchezza alla ricerca di sbocchi produttivi. Se la macchina a vapore è stata l’emblema della prima rivoluzione industriale, il futuro ha bisogno di una nuova energia: non il vapore che alimentava le locomotive, ma quell’altro “steam”, mix di saperi fatto di scienza, tecnologia, ingegneria, arte e manifattura. E l’Italia, che in questo scenario potrebbe giocare un ruolo da protagonista, almeno sulla carta, nella realtà deve correre per recuperare tempo e posizioni. Per recuperare terreno, bisogna scendere dalla locomotiva a vapore e salire su una macchina da rally.

Chi è il vero motore dell’innovazione in azienda?

Trasformazione e innovazione vogliono dire molte cose diverse. Secondo la visione di IDC, è legata ai quattro macrotrend della cosiddetta Terza Piattaforma (cloud, big data, social platform e mobile). Business e IT diventano terreni contigui con una contaminazione continua di reciproche competenze. La cultura dei dati entra nelle direzioni marketing. E la cultura informatica esce dai dipartimenti IT, che ormai da tempo non sono più, solo la “stanza dei bottoni” ma sono sempre più trasformazionali.

La strategia aziendale però deve essere chiara e tutti sono chiamati a sentirsi partecipi del cambiamento. Esiste una visione vecchia delle aziende, ingessate nei ruoli e bloccate nella divisione delle informazioni, che vede ancora contrapposte la divisione IT e la Line of Business, come se fossero animate da interessi e obiettivi differenti: una tesa alla conservazione e l’altra all’innovazione, una tutta dedita all’automazione dei processi, l’altra orientata al miglioramento delle performance. La realtà aziendale ci racconta qualcosa di diverso. E anche il pregiudizio di un IT conservativo, troppo appoggiato ai sistemi legacy è un’idea sbagliata, che non coglie la complessità di un momento di passaggio epocale.

Anzi la tendenza di spostare la direzione IT verso posizioni di line sotto il controllo del finance o delle operations di fatto equivale a un passo indietro rispetto al passato. Il business è sempre più legato all’IT anche da un punto di vista di budget. Per il CFO un investimento in cloud o in sicurezza per la gestione dei dati saranno sempre considerate come voci di costo. L’IT deve essere trasversale a tutte le funzioni aziendali perché è in grado di valutare correttamente la centralità degli investimenti e il loro impatto a livello di sistema, implicazioni di sicurezza, comprese. Ma il management IT deve uscire fuori dai tecnicismi e usare lo stesso linguaggio del Business.

La strategia dell’innovazione

Il problema dell’innovazione tecnologica (che non è solo information technology) è più ampio di quello che sembra. Se facessimo un sondaggio, ciascuno darebbe una definizione diversa di innovazione. Ormai tutte le aziende sono energivore e utenti di tecnologia, anche quelle che la vendono. Da una parte c’è chi sperimenta il cognitive computing, l’intelligenza artificiale, la robotica di servizio, il machine learning, le interfacce uomo-macchina, la realtà virtuale, la gamification. Dall’altra parte ci sono tutte le altre che inseguono il cambiamento, che lottano per il day-by-day, che usano i fogli Excel per l’analisi dei dati, che tagliano i costi, che razionalizzano la produzione, affidandosi ora a una soluzione di CRM, ora a una soluzione di UC&C, senza però una strategia chiara di integrazione, di business continuity e di sicurezza.

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Le resistenze e i contrasti tra le funzioni si alimentano soprattutto per la mancanza di una visione unica, trasparente e condivisa dell’organizzazione. Molti sono spaventati più che dall’innovazione in sé dalla velocità stessa del cambiamento. Ma se le imprese non vogliono perdere il treno dell’innovazione e ragionare non solo in termini di riduzione dei costi, ma di produttività – solo una sinergia tra tutte le forze in campo permetterà di comprendere in tempo le dinamiche della trasformazione, evitando il rischio di farsi travolgere per eccesso di tempismo o mancanza di cautela, facendo la fine dei cavalli alla metà del Novecento, quando i primi progressi dell’automazione meccanica nella nascente industria rese obsoleta la forza degli animali nell’economia del trasporto e dell’agricoltura.

Nessun settore industriale può essere immune dall’impatto della trasformazione digitale. Oggi, tutte le aziende hanno bisogno di intelligenza nella gestione dei dati, massima sicurezza, connettività e visibilità sui sistemi. L’innovazione significa eliminare i fattori che ostacolano l’efficienza, la flessibilità e la produttività. Ma se la tecnologia è soprattutto empowerment, non dobbiamo mai dimenticare che al centro ci sono le persone.

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AON, i CIO protagonisti dell’innovazione

Per Giancarlo Baglioni, CIO di AON, l’IT costituisce vantaggio competitivo per l’azienda quando i CIO vengono coinvolti nelle decisioni strategiche. «L’IT capace di contribuire con idee e soluzioni a valore aggiunto al raggiungimento degli obiettivi, è quello che riesce a parlare lo stesso linguaggio del Business, che da un lato è in grado di anticipare la domanda delle altre funzioni aziendali in modo proattivo, dall’altro proponendo tecnologie commisurate alle capacità e alla cultura dell’azienda. Non solo. I nuovi CIO sono protagonisti dell’innovazione: guidano e non subiscono il cambiamento, favorendo la comprensione e l’adozione delle tecnologie, mantenendo elevato il livello di comunicazione e collaborazione con tutti gli interlocutori».

AREU, innovazione nella sanità

La sanità, nonostante le resistenze interne del sistema come apparto, è tra i settori dove l’innovazione è più disruptive, dalla gestione delle performance a quella delle emergenze, dal monitoraggio dei dati per fini clinici all’eHealth, fino alle frontiere della biomedicina, dove si stanno studiando soluzioni tecnologiche per portare lo sguardo del medico nel corpo del paziente. Secondo Piero Maria Brambilla, direttore di Sistemi informativi e Logistica di AREU, l’azienda Regionale che gestisce il sistema di Emergenza e Urgenza della Regione Lombardia, quando il management di un’azienda prende realmente coscienza della funzione dei sistemi informativi, e non li vede solo come uno strumento opzionale a supporto alla normale attività, allora anche in aziende del settore pubblico, l’IT diventa parte integrante dell’organizzazione stessa. «L’IT è una componente intrinsecamente legata all’operatività quotidiana, non solo come automazione dell’esistente, ma come forza abilitante per la creazione di nuovi processi o la rimodellizzazione dei processi esistenti. Allora la pervasività dell’IT non è più vista come un’intrusione – magari necessaria anche se scomoda – ma come normale modo di essere e di operare».

Brembo, la vera transformation si fa in fabbrica

«La digital transformation sul consumatore è la più semplice. La digital trasformation che innova completamente i processi è quella che si fa in fabbrica non sul consumatore». Parola di Paolo Crovetti, direttore ICT di Brembo, per il quale quando si parla di innovazione, vantaggio competitivo e crescita, valgono tre semplici punti: Qualità e resilienza dei prodotti e servizi IT erogati in azienda. Sostenibilità della spesa IT. Definizione e implementazione di architetture IT che devono essere flessibili, pervasive, adattive e coerenti con la trasformazione dei processi aziendali.

«L’IT non è più un imbuto con cui le funzioni di business devono fare i conti. Per la prima volta, siamo come in una macchina da rally. A bordo ci sono due persone: il CIO che fa da navigatore e il Business che è il pilota». Ma senza dubbio il posto del pilota è il più pericoloso. «Il ruolo dell’IT è di facilitare, spingere e creare architettura». Il ruolo del data scientist all’interno di una organizzazione è condividere la cultura dei dati, e lavorare gomito a gomito con gli ingegneri». Non solo. E Crovetti ha messo in guardia: «Noi generalizziamo troppo. In fabbrica, io non ho a che fare con consumer ventenni, ma devo dialogare con ottantadue generazioni diverse, che hanno un diverso grado di recepimento dell’innovazione e della tecnologia. E’ illusorio pensare che l’innovazione da sola possa assicurare un vantaggio competitivo destinato a durare per sempre. Il vero vantaggio competitivo si costruisce giorno per giorno, con il lavoro duro, con la qualità dei dati, con la capacità di distribuire conoscenza e di ripensare i processi di deployment, ma soprattutto con le persone competenti. Si può comprimere qualsiasi cosa a livello tecnologico, ma non il tempo necessario alle persone per comprendere il cambiamento».

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Miroglio, retail innovation

Il Gruppo Miroglio ha saputo puntare sull’innovazione per trasformare il proprio modo di essere e fare impresa. Il Gruppo opera dal 1947 nei settori del tessile e della moda, ma ha saputo sviluppare una strategia internazionale, operando su tre segmenti specifici: fashion, tessuti stampati e offerta di servizi di supply chain management. Non sorprende che il retail sia uno dei settori più “technology intensive” al pari del finance e dell’hi-tech.

«Miroglio ha due anime» – ha spiegato Francesco Cavarero, CIO di Miroglio Group. «Quella più antica della manifattura dei tessuti con una grande stamperia in provincia di Cuneo, che oggi non esisterebbe senza la tecnologia, e quella della confezione con la produzione di abbigliamento, che nel corso del tempo è cambiata fino a diventare una realtà prevalentemente distributiva. L’innovazione è stata alla base dell’evoluzione dell’impresa in entrambi i casi. Ma l’innovazione è stata di segno diverso. In Miroglio Textile, per produrre tessuti stampati di qualità in Italia, abbiamo dovuto fare una vera rivoluzione digitale, focalizzandoci sulla produzione. Il cambiamento ha poi avuto un riflesso sull’intero ciclo del prodotto. In questa prima fase, il ruolo del CIO è stato molto limitato rispetto a quello delle operations. Il vero lavoro per l’IT è arrivato dopo, quando è stato necessario integrare i processi e creare un perimetro di sicurezza intorno ai dati. Per quanto riguarda invece l’area della confezione di abbigliamento, l’azienda concepisce il prodotto e lo distribuisce. E in questo caso l’IT ha giocato dall’inizio un ruolo davvero determinante».

Vodafone, sinergia e autonomia

Chi è portatore naturale di innovazione e chi è più resistente al cambiamento all’interno delle organizzazioni? Per Sara Trabucchi, head of Enterprise Solutions di Vodafone Italia, tutto dipende dalla cultura aziendale. L’innovazione tecnologica come fattore abilitante della trasformazione e quindi della crescita è una questione di sopravvivenza. «In pratica, chi si ferma è perduto. Per esempio, la tecnologia permette di essere più efficienti sulle scorte, consente una migliore integrazione tra canale digitale e canale fisico e di implementare politiche di royalty che solo fino a qualche anno fa erano impensabili. E la tecnologia permette senza dubbio di acquisire un vantaggio competitivo. La sfida è riuscire a mantenerlo nel tempo.

Per chi opera nel settore delle telecomunicazioni, non vale più la divisione netta tra il mondo dell’IT e quello delle soluzioni. Di fatto, si tratta di un continuum. E dalla sinergia tra le diverse funzioni nasce la scintilla dell’innovazione. E lo abbiamo sperimentato quando in azienda siamo passati a un tipo diverso di organizzazione basato sullo smart working. E tante delle applicazioni sono state portate avanti in un primo momento dalla linea di business in autonomia. Lo strumento di saleforce è nato in casa della divisione vendite e “cucinato” in maniera un po’ artigianale, ma poi è diventato così importante, da essere portato in mobilità e integrato con i sistemi aziendali grazie all’intervento dell’IT». Un aspetto determinante resta la sicurezza: «In alcuni casi c’è consapevolezza, in altri manca del tutto». E qui l’IT gioca un ruolo fondamentale.

UniCredit, la banca che innova la banca

«Oggi, siamo nel mezzo di una trasformazione socio-economica radicale, che porta cambiamenti inevitabili in tutte le industry con una ridefinizione continua di confini e contenuti» – ha spiegato Massimo Messina, head of Global ICT di UniCredit. In modo particolare, nel mondo del finance, dove la banca diventa un sistema esteso di relazioni, che ha bisogno di gestire nella massima sicurezza, governando i costi e mettendo la tecnologia al centro come cardine per fornire servizi di valore alle persone. Tutto il mondo finance è digitalizzabile. Le filiali fisiche non spariranno, ma saranno ridefiniti ruoli e obiettivi per il mantenimento del business e l’aumento della marginalità per cliente. Conto corrente, carta di credito, mutuo sono prodotti non servizi. Intorno a questi prodotti bisogna creare un’offerta strutturata di servizi su misura e “event driven”, attingendo al patrimonio di dati e informazioni già in possesso delle banche, ma poco sfruttato finora. Gli approcci tradizionali non sono più compatibili con i requisiti di tempo che il mercato finance richiede. Per cambiare ci vuole coraggio, ma anche conoscenza e creatività per aprire le banche alla relazione social con il cliente. La continuità, l’adattamento, il successo, o l’insuccesso, saranno fortemente condizionati dalla “semplicità” e dalla trasparenza. Questo implica una profonda revisione organizzativa, tecnica e applicativa – ingredienti essenziali per l’innovazione – a partire dalle strutture di rete risalendo la catena dei processi fino al back-office. Una complessità che trova risposta nella strategia informatica di con la definizione di una piattaforma tecnologica incentrata sui dati.

«Per costruire dei servizi digitali che rappresentino una customer experience e un valore adeguato – ha detto Messina di Unicredit – dobbiamo pensare in veri termini digitali e questo richiede un forte cambiamento culturale, manageriale, organizzativo verso una nuova relazione tra Business e IT, tale che le due si integrino, scambiandosi conoscenza e competenze. Solo così è possibile ottenere la cosiddetta “seamless relationship” tra le due parti, per la quale entrambe le funzioni partecipano all’ideazione di nuove esperienze per i clienti, senza una netta distinzione tra la famiglia professionale di appartenenza, alimentando nuove competenze e desiderio di apprendimento da parte degli individui coinvolti».

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massimo messina unicredit

UniCredit, integrare le competenze massimizzare il valore

In molti casi, la funzione IT viene considerata come interscambiabile da un’industry a un’altra, senza rilevanti fattori differenzianti in termini di skill, strumenti e soluzioni. «E’ fondamentale, invece, che l’IT capisca e risponda così profondamente al proprio business da diventarne una parte imprescindibile» – ha messo in rilievo Marco Berini, head of Group Operations & Artificial Intelligence di UniCredit. «Ma allo stesso tempo è decisivo il percorso inverso, ossia che il business possieda le conoscenze utili per far fruttare appieno le opportunità tecnologiche. Il trasferimento di competenze diventa quindi la chiave per la massimizzazione del valore».

 marco berini unicredit

Fincons, innovare per (r)esistere

Per Michele Moretti, CEO di Fincons Group, l’IT si trasforma in vero volano per il business «quando è in grado da una parte di leggere e – dove possibile – prevedere le evoluzioni dei settori in cui l’azienda opera per offrire soluzioni tecnologiche sempre al passo coi tempi, e dall’altra di fornire strumenti tailor-made capaci di dare forma alle strategie sviluppate, affinché l’azienda possa fronteggiare concretamente le nuove sfide e operare nel mercato come player d’avanguardia». In qualità di CEO della sua azienda, Michele Moretti spinge molto sull’innovazione che deve essere trasversale per essere un fattore di competitività. L’innovazione e la conoscenza a compartimenti stagni sono destinate solo ad aumentare il grado di complessità delle aziende. L’innovazione deve essere liquida e circolare in tutto il sistema aziendale per resistere e reagire al cambiamento. Una lezione che dovremmo applicare anche a livello di Sistema Paese».

michele moretti fincons

Schneider-Electric, le parole chiave del Business

«Semplificazione, efficienza, capacità di adattarsi al cambiamento e disponibilità dei dati sono le parole chiave del Business» – secondo Vincenzo Spagnoletti, director of Data Center/Secure power&IT partners sales di Schneider Electric. «Le aziende hanno bisogno di aumentare l’efficienza, introdurre processi sostenibili, ridurre i costi e risparmiare, facendo di più con meno. L’economia di oggi vive grazie alla possibilità di accedere ai dati, per questo proteggere la disponibilità della rete per mantenere la connettività non è mai stato più essenziale. Le aziende non possono permettersi il costo dei tempi di inattività, che possono ammontare a milioni a seguito di riduzione della produttività, efficienza ridotta, perdita di dati e danni di immagine. Stiamo inoltre assistendo a grandi cambiamenti, tra cui la convergenza tra IT e OT e la maggiore diffusione di soluzioni pre-ingegnerizzate che portano le aziende a cambiare i loro modelli di business che sostituiscono la vendita di prodotti all’acquisto di servizi gestiti. In ultimo lo spostamento verso il cloud computing, in cui i dati vengono memorizzati e gestiti in luoghi off-premise, aumenta la dipendenza del business dalla connettività di rete. La business continuity è alla base di una connessione affidabile ai dati e applicazioni remote».

vincenzo spagnoletti schneider electric

Trend Micro, innovazione sì, ma più attenzione alla sicurezza

L’innovazione non può essere un boomerang. Dal punto di vista di Trend Micro uno dei fattori abilitanti che può tradurre l’IT in un reale vantaggio competitivo è la sicurezza. Perché non bisogna mai dimenticare che anche chi sta dall’altra parte della barricata e ha fatto degli attacchi informatici il proprio core business fa digital transformation. Il primo quarto del 2015 ha visto un incremento dei cyber attack a tutti i livelli, non solo verso gli Stati Uniti e l’Asia, ma sempre di più anche verso l’Europa. I fattori sono molteplici: tecnologici e umani insieme. In azienda, non è raro imbattersi in progetti di trasformazione guidati da funzioni diverse dall’IT. L’innovazione è una scintilla che può nascere ovunque, ma quando a guidarla non è l’IT, quasi sempre la sicurezza non è considerata adeguatamente o è pari a zero. Per rispondere alla nuova tipologia di attacchi informatici sempre più mirati, bisogna predisporre una strategia di difesa su misura di business, come ha spiegato Gastone Nencini, country manager di Trend Micro. «Pensiamo alle nuove tecnologie che vengono proposte sul mercato in modo insicuro: offrono un altissimo potenziale, ma affinché la loro adozione diventi di uso quotidiano devono essere sicure. Pensiamo ai dati e alle informazioni, sempre più mobili e condivisi, se non adeguatamente protetti la loro perdita o peggio il loro furto può creare danni incalcolabili. I vantaggi generati dall’IT possono essere davvero fruiti solo se a monte è gestito un processo di sicurezza e protezione».

gastone nencini trend micro