Un altro caso a lieto fine per una donna non vedente di Mestre, tornata a vedere grazie all’impianto di un occhio bionico, che permetterà a Paola di vedere finalmente le sagome dei suoi figli
“Ora potrò finalmente vedere le sagome dei miei figli. Potrò scoprire la linea del loro volto. Anche se negli anni mi sono già fatta un’immagine precisa dentro di me di come sono”. Una dichiarazione commovente, che lascia trasparire la gioia immensa di una mamma che dopo anni può scorgere la fisionomia dei suoi due figli, poco più che ventenni.
La retina artificiale che fa miracoli
Un miracolo della tecnologia, che può già contare dei precedenti casi con esiti positivi: negli Stati Uniti un pensionato 68enne cieco da dieci anni è tornato a vedere grazie ad un occhio bionico; anche lo scorso settembre una donna americana ha recuperato la vista dopo lunghi anni grazie allo stesso sistema hi-tech.
Ora è la volta di Paola, 51enne di Mestre, che non ha mai potuto vedere i suoi figli perché quando sono nati la sua malattia degenerativa, la retinite pigmentosa, non le consentiva già di vedere. Ora, dopo l’operazione, dopo qualche mese di riabilitazione, la donna potrà finalmente essere autonoma, sia in casa che fuori.
La strada è ancora lunga per il recupero, ma “i primi passi sono incoraggianti”, come afferma lei stessa, ora sorridente dopo aver sciolto i dubbi e le paure precedenti all’intervento.
A Paola è stata impiantata una retina artificiale, che d’ora le consentirà di distinguere luci e ombre.
Dopo 30 anni di buio, la liberazione
“Tutto questo è merito di mio marito – racconta – io ero molto restia perché a una certa età le novità fanno paura, ormai si è quello che si è. Lui invece mi ha convinto con il cuore ma anche con la ragione che avrei dovuto sottopormi all’intervento”.
A gennaio è avvenuto l’intervento in anestesia generale, con il posizionamento di una matrice di sessanta elettrodi sulla retina. Due antennine dialogano tra loro inviando impulsi alla retina, dopodiché viene riattivato il nervo ottico.
“E’ liberatorio. E’ come uscire da un posto claustrofobico con poco ossigeno e trovarsi all’aria aperta – racconta – ora piano, piano grazie alla riabilitazione riesco a distinguere le direzioni dei fasci di luce. Ma non mi faccio illusioni, è una visione artificiale”